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In questo primo vero articolo della mia rubrica vorrei trasmettervi un messaggio in cui credo fermamente e a cui tengo davvero tanto: l’importanza dello sport nell’educazione, la sua necessità nella formazione di un fanciullo, di un adolescente, ma anche di un adulto.

La definizione di educare è contribuire allo “sviluppo di facoltà e attitudini, come affinamento della sensibilità, come correzione del comportamento, come trasmissione e acquisizione di elementi culturali, estetici, morali” (enciclopedia Treccani). Quale attività è migliore dello sport per raggiungere tutto ciò?

Praticare sport permette di:

  • Assumere impegni a medio e lungo termine e abituarsi a rispettarli, malgrado non se ne abbia sempre voglia;
  • Accettare pensieri, punti di vista e decisioni di altre persone non sempre condivisi;
  • Accettare la sconfitta senza deprimersi e la vittoria senza esaltarsi;
  • Essere solidali con i compagni e rispettosi con gli avversari;
  • Non abbattersi davanti alla sofferenza, alla fatica o all’ingiustizia;
  • Imparare e/o affinare schemi motori;
  • Socializzare;
  • Migliorare e, talvolta, creare un rapporto nuovo con la propria corporeità e con il proprio aspetto fisico;
  • Prendersi cura della propria salute e dell’estetica;
  • Iniziare ad apprendere nozioni di scienza dell’alimentazione per evitare, in futuro, di ingrandire la fetta di popolazione obesa, con conseguente aumento dei costi del sistema sanitario.

E potrei andare avanti così ancora per molto.

Può uno Stato che si ritiene civile e moderno essere socialmente impegnato a raggiungere gli obiettivi suddetti con le sole 2 ore settimanali di educazione fisica a scuola, durante le quali un terzo della classe non partecipa perché ha dimenticato a casa il cambio, un terzo è impegnato a studiare la materia dell’ora successiva e l’altro terzo gioca a calcetto in palestre ormai dismesse? Non credo proprio. E allora? Deve pensarci la famiglia, investendo tempo e denaro nella formazione dei propri figli. Chi non può permettersi di iscrivere un figlio a nuoto, tennis o in palestra? Ecco che, come spesso avviene, tutto si riduce a una distinzione netta tra chi ha risorse economiche e chi non ne ha a sufficienza, e non mi pare affatto giusto. Sarebbe naturale aspettarsi garanzie in merito dal Ministero delle Pari Opportunità, poiché non esiste situazione più importante che permettere a tutti le stesse occasioni per sviluppare il proprio potenziale psicofisico e il proprio benessere (con conseguente risparmio per il sistema sanitario nazionale).

L’equazione è molto semplice, per quello che ho potuto constatare in 20 anni di lavoro in ambito sportivo. Le persone in salute, con un aspetto fisico curato (senza necessariamente assomigliare a Brad Pitt o Jennifer Lopez) sono più serene, affrontano le relazioni con meno paure e insicurezze, creando attorno a sé un clima migliore, positivo, ottimista rispetto a chi investe meno attenzioni sul proprio benessere, generando così molte più opportunità di socializzazione, lavorative o meramente ludiche.

Potrei raccontarvi di Pamela, che nel giro di pochi mesi ha trasformato il suo aspetto fisico, ma anche quello comportamentale: entrata in sala pesi goffa e intimidita, nascosta in una felpa oversize, ne è uscita dopo qualche mese con passo tigrato e leggings aderenti, sicura di sé e piena di energia. Oppure di Mario, che mi si è presentato in forte sovrappeso, trascurato e trasandato e demoralizzato dalla separazione con la moglie. Si accorgerà col tempo che il suo dolore è stato un colpo di fortuna, perché lo ha spinto a migliorarsi, ad allenarsi pian piano, a mangiare sano e a prendersi cura di sé. In poco tempo ha acquisito forma fisica, sicurezza e la positività che gli hanno permesso di incontrare la donna giusta per lui!

Lo sport è di tutti ed è per tutti: non esiste nulla di più democratico! Non importa se sei in sovrappeso, sottopeso, se hai disturbi alimentari o fisici; non importa la tua provenienza e nemmeno il tuo mestiere: lo sport accetta tutto e tutti e mette tutti sullo stesso piano. È capace addirittura di invertire le gerarchie, rendendo avvenente il garzone e penalizzando il commercialista, se pigro e poco costante. Soprattutto, educa e migliora tutti, nel fisico e nella mente. È necessario affrontare la fatica, impegnarsi duramente con costanza e determinazione, ma cosa si raggiunge senza impegno? Anche questo è un utile insegnamento. Hard work beats talent, dicono oltreoceano, io me lo sono tatuato, qualora me ne scordassi a volte.

Ma che ne sa chi fa politica? Poco o nulla. Quindi, cosa fare? Qual è la soluzione? Certamente io non ho la bacchetta magica e di sicuro è necessario “attaccare” su più fronti: innanzitutto è necessaria una rivoluzione culturale, che metta lo sport sullo stesso piano di altre attività attualmente considerate maggiormente utili o formative quali le materie umanistiche, linguistiche e scientifiche oggetto di studi più approfonditi. È necessario, poi, che i programmi scolastici si adeguino al periodo storico che stiamo vivendo, non necessariamente insegnando l’utilizzo dei social network e l’approccio a selfie e applicazioni, ma educando all’uso responsabile dei nuovi strumenti di interazione sociale. Quindi potenziare l’attività sportiva nelle scuole, aumentando le ore dedicate e migliorando la qualità del lavoro svolto. E magari investendo in sussidi o detrazioni per le famiglie che non possono permettersi materiale e corsi sportivi per i propri figli. D’altra parte, noi educatori, formatori e laureati in scienze motorie dovremmo lavorare con professionalità e impegno, cercando di trasmettere passione e competenza, con l’obiettivo di rendere i ragazzi, se non proprio dei “fitness addicted”, quantomeno in grado di sfogare il proprio stress quotidiano attraverso l’attività fisica, aiutandoli a controllare la rabbia che spesso porta ad azioni sconsiderate, talvolta pericolose. Ma questo è un altro argomento e, forse, un altro articolo.

Rino Capone
Dottore in Scienze Motorie